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Sindrome dell’Impostore

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Spunti di riflessione

“Di sindrome dell’impostore soffrono coloro che impostori non sono”, scrive Annamaria Testa nel suo articolo Sindrome dell’impostore: lo strano timore delle persone capaci.

Annamaria ci dice ancora:

Sindrome dell’impostore è un modo informale e non tecnico per definire una strana condizione mentale. Quella di chi, avendo ottenuto ampi e ripetuti riconoscimenti del proprio valore e una meritata dose di successo, di quel successo si sente indegno o immeritevole

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Il termine è stato coniato dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes nel 1978 e inizialmente è stato associato alle donne che ricoprivano posizioni di successo. Attualmente sono stati condotti studi a dimostrare che anche gli uomini ne soffrono.

Un tratto comune è quello di rivestire posizioni sociali e lavorative importanti.

Il paradosso della sindrome è che qualunque sia il successo raggiunto, questo non sarà mai sufficiente ad evitare il pensiero di non meritare quel successo.

I soggetti affetti dalla sindrome sono di fatto incapaci di elaborare capacità, abilità e successi ottenuti. Li attribuiscono a fattori esterni come fortuna o capacità sovrastimate.

Questione di autovalutazione

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Vi racconto un aneddoto personale.

Quando sono entrata nell’agenzia dove ho lavorato per buona parte della mia vita, ero solo una ragazzina di vent’anni.

Erano tempi in cui esisteva la gavetta, non solo fisico/lavorativa, ma anche economica.

Ho iniziato con i classici tre mesi di prova a “fogliuccio blando”, dove prendevo il primo mese 300, il secondo mese 400, il terzo mese 500 per poi, se mi fossi dimostrata un “panzer” , essere assunta con il contratto a stage e via così.

Lo stipendio ovviamente era misero all’inizio, 600/800 euro al mese con il contratto di stage.

Essendo una start up prettamente editoriale e a conduzione familiare non avevano ben chiara la struttura di un’agenzia di comunicazione; sapevano solo che internet (allora agli albori) rappresentava il futuro e che l’agenzia avrebbe dovuto integrare maggiori skills.

Sono entrata come “pivella” sapendo di esserlo. Mi sono quindi data molto da fare e ho lavorato molto duramente cercando di meritare più possibile lo stipendio, la fiducia e il posto di lavoro.

Ho messo a disposizione tutte le conoscenze acquisite alla scuola professionale che ti formava ad hoc per entrare in agenzie professionali.

Come ogni agenzia a conduzione familiare che si rispetti ad un certo punto è scoppiata, portando crisi profonda; I nostri datori di lavoro erano fusi e dispersi.

Ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo lavorato sodo, giorno e soprattutto notte.

Da quel momento in poi abbiamo creato l’agenzia che ancora oggi sta lì.

Ovviamente nessuno straordinario pagato, nessun contratto di lavoro, tante responsabilità, tante ore, stipendio minimo.

Ad un certo punto mi sono guardata indietro a quando ero una ragazzina di 23 anni senza troppa esperienza… e mi sono analizzata.

Ho cercato con tanta difficoltà di vedere obiettivamente quali skills stavo sviluppando da anni, quali riuscivo a padroneggiare, quali mi davano ancora problemi e ho deciso di stilare un’autovalutazione.

Piena di dubbi ma sperando di aver fatto un buon lavoro presento l’autovalutazione al mio capo nella quale era presente anche lo stipendio che richiedevo giustificato dalle mansioni.

Lui accettò di alzare lo stipendio a tutto l’ufficio.

Fu molto difficile per me fare quell’autovalutazione.

Nonostante sia passato del tempo e abbia acquisito nuove skills da allora, nel mio sito ancora presento lo schema di quell’autovalutazione.

Con quanta oggettività e quanta precisione sappiamo valutare noi stessi?

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Per saperlo, dovremmo essere in grado di valutare la nostra capacità di auto-valutarci.

In un interessante articolo “O troppo, o troppo poco: perché auto-valutarsi è difficile” Annamaria Testa ci ricorda che:

Autovalutarsi è importante: serve a misurare e a orientare gli sforzi, a pianificare il futuro, a porsi obiettivi realistici e a capire se e come li si sta raggiungendo.

Mette in gioco autostima, motivazione, senso di identità: tutta roba grossa.

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Dice inoltre che tra gli articoli più letti del suo blog ci sono La Sindrome dell’impostore e l’effetto Dunning-Kruger.

Sono di fatto due facce della stessa medaglia. In momenti e in contesti diversi, su argomenti diversi, possono perfino essere compresenti nella stessa persona.

Il fatto importante è che auto-valutarsi è molto complicato. Tendiamo tutti ad essere troppo fiduciosi o troppo severi. Siamo propensi a sbagliare sia per eccesso sia per difetto.

David Dunning parla di punti ciechi in un’intervista su Vox, presentando un grafico che spiega la compresenza di due fenomeni:

Mentre i peggiori sovrastimano le proprie prestazioni nei test, i migliori le sottostimano, appiattendosi nelle valutazioni, considerandosi con blando ottimismo un pochino o abbastanza più bravi della media, ma non di tanto.

La prima regola del club Dunning-Kruger è che nessuno è consapevole di farne parte, specifica Dunning. Si può invece, aggiungo, essere (dolorosamente) consapevoli di far parte del club Sindrome dell’impostore. 

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Nell’intervista a Vox, Dunning aggiunge un ottimo suggerimento per auto-valutarsi più accuratamente: ragionare in termini non di certezze, ma di probabilità.

Pensare di essere “probabilmente” molto bravi può facilitare il compromesso con la sindrome e potrebbe far accogliere i complimenti con un sorriso.

Insicurezza, autostima e società

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Il Time scrive che di sindrome dell’impostore possono soffrire tutti: donne, uomini, studenti, attori, impiegati…chiunque non sia in grado di interiorizzare un proprio piccolo grande successo.

Il 70% delle persone potrebbe aver sofferto di sindrome dell’impostore almeno una volta nella vita.

«La considerazione esagerata in cui viene tenuto tutto il mio lavoro, mi mette a disagio e talvolta mi fa sentire un imbroglione, anche se involontario»

Albert Einstein

Quanto incidono autostima, insicurezza e società?

L’insicurezza è una condizione emotiva che tutti dovremmo aver sperimentato nella nostra vita.

La sensazione di smarrimento, la quale ci fa dubitare dei nostri pensieri e ci fa temere di prendere decisioni sbagliate, di per sé non è dannosa, anzi può aiutarci a compiere la scelta più giusta.

Spesso si manifesta in seguito ad accadimenti importanti o traumi (lutto, fine di una relazione, crisi lavorativa).

Se invece persiste nel tempo dilaga in vari ambiti della nostra vita, e anche nelle questioni più semplici diventa patologica.

Porta con sé mancanza di fiducia nelle proprie capacità, abbassamento dell’autostima, forte senso di fallimento, timore di non fare le cose nel modo giusto e di non farsi voler bene dagli altri.

L’insicurezza patologica può diventare invalidante:

  1. Nei rapporti sociali. Perché ci si trattiene dal rivolgersi agli altri in modo sereno, spontaneo e accattivante.
  2. Nella vita pubblica e professionale. Perché impedisce di parlare in pubblico, di proporsi per un avanzamento di carriera, proporsi a un colloquio, ecc…
  3. Nelle scelte personali. Perché spesso si possono commettere scelte che non corrispondono ai propri desideri, o non si riesce a prendere nessun tipo di decisione.

L’insicurezza può quindi impedire tutta una serie di comportamenti, facendo sentire la persona frustrata e in collera per non riuscire a perseguire i propri scopi.

Spesso il dubbio di non riuscire a fare la cosa giusta e la sensazione di non sapersela cavare da soli spinge la persona a chiedere molti consigli agli altri, tanto da sviluppare un disturbo dipendente di personalità.

L’autostima invece è la valutazione che facciamo di noi stessi, l’opinione generale, il valore che ci riconosciamo come persone.

Tale valutazione varia tra due estremi: positivo e negativo.

Chi soffre di bassa autostima ha una visione negativa del proprio valore, incondizionata, pervasiva e di lunga durata. (Scarsa fiducia in sé stessi e nel mondo, difficoltà ad ascoltarsi e a trovare obiettivi realistici e coerenti con le proprie aspirazioni, tendenza a farsi definire dagli altri, scarso spirito di iniziativa, mancanza di un progetto di vita personale, ecc…)

A volte la bassa autostima è proprio mascherata da atteggiamenti sprezzanti, altezzosi e arroganti.

All’opposto troviamo l’eccesso di autostima, che porta a problematiche quali: narcisismo, autostima ipertrofica, disturbo narcisistico di personalità, effetto Dunning-Kruger.

Tra i fattori di rischio della bassa autostima ci sono:

  1. Trascuratezza e abbandono durante l’infanzia e l’adolescenza
  2. Ripetute critiche da parte delle figure di riferimento
  3. Esperienze di bullismo ed esclusione in generale
  4. Far parte di una minoranza
  5. Mobbing, isolamento, svalutazione
  6. Traumi
  7. Prolungati periodi di stress
  8. La personalità, il proprio carattere

La società in cui viviamo. Quanto incide sulla percezione reale di noi stessi.

Episodi di mobbing, bullismo, esclusione accadono continuamente e intaccano la percezione che abbiamo di noi stessi.

Come possiamo non dare importanza agli altri se dagli altri dipendiamo?

Quanto costa difendere la nostra opinione al giorno d’oggi? Dobbiamo difenderla anche quando non è corretta? Come facciamo a capire quando siamo nel giusto? Esiste il giusto assoluto?

Società è un concetto difficile, società è molte cose, molti livelli, troppi strati.

Social media e sindromi

Facendo parte dei nascituri degli anni 80, ho vissuto direttamente molti cambiamenti sociali.

L’avvento dei computer, dei cellulari, dei social media, di Berlusconi…
Io ricordo tangentopoli in tv, il comunismo di Bertinotti, i programmi di satira (quella vera), l’assassinio di Falcone e Borsellino.

Ricordo quando è nato internet. Lavoravo ai siti quando c’era Adobe Flash e quando erano ancora scatole un po’ grezze, che a rivederle oggi ci farebbero davvero molto sorridere.

Ricordo quando è nato Facebook, una piattaforma per recuperare amici perduti, per ritrovarsi con i compagni di classe.

Ora tutto questo è lontano, i social sono il cuore pulsante delle moderne tecnologie, internet è un nuovo Dio e siamo sempre più orizzontali nelle nostre professioni.

Apri Linkedin, cerchi colloqui di lavoro e anche se hai 15 anni di esperienza alla spalle, hai sempre lavorato sodo e possiedi oggettivamente delle skills, puoi trovarti a sperimentare un senso di inadeguatezza.

Siamo in una società piena di persone che sanno fare tutto, o così vogliono dare a vedere.

Esperienza personale

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Torniamo all’elenco dei fattori di rischio per la bassa autostima, mobbing, ripetute critiche da parte delle figure di riferimento, stress, far parte di una minoranza, personalità e carattere.

Questi punti dell’elenco mi sono cari perché sono legati al mio vissuto.

Personalmente ritengo di far parte di due categorie abbastanza disagiate all’interno della società: le donne e i poveri.

Come donna ho subito molte discriminazioni, ho subito il cat-calling, lo stalking, molestie varie.

A lavoro, quando consegnai l’autovalutazione al mio capo, il mio collega responsabile web si interpose dicendo “Questa autovalutazione non vale niente, non ci si può giudicare da soli, è presunzione”.

Abbiamo visto quanto è importante auto-valutarsi, il problema è avere a che fare con qualcuno che ti svaluta e non ti riconosce al momento giusto il valore che meriti.

Quando decisero di prendere comunque in considerazione la mia proposta, stilarono i nuovi stipendi e le loro nuove regole di guadagno. A me spettava uno stipendio equiparato al mio collega.

Entrambi responsabili di reparto, lui di quello web io di quello di comunicazione e grafica, entrambi co-fondatori della società, entrambi responsabili di redigere preventivi e del rapporto con il cliente.

MA (e qui c’è un grande ma):

Lui è uomo e io donna. Quindi ha preteso di avere uno stipendio più alto del mio perché a detta sua “lui è più bravo di me, più professionale, ha più responsabilità” .

Di certo non poteva dire “perché tu sei donna e io uomo” ma credetemi era esattamente per quello.

Essere poveri non aiuta.

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Dicono sempre che i soldi non fanno la felicità, ma la felicità è un concetto troppo complesso e credo sia anche uno stato dell’esistenza irraggiungibile in termini assoluti.

I soldi aiutano eccome ad avere la vita che desideriamo. Non devi vedere i tuoi genitori in difficoltà a causa tua, non devi lavorare e studiare insieme per mantenerti, tutti dovremmo avere il diritto allo studio.

Senza pressioni, senza uccidere i nostri genitori, senza preoccuparci di altro se non del nostro futuro che stiamo cercando di costruire.

Ma non è così. Per alcuni è decisamente più difficile.

A vent’anni si ha tanta voglia di vivere, non solo di realizzarsi. Di fare esperienze e di viaggiare per aprire nuovi orizzonti.

Dicono (“chi lo dice?”: molti esperti di settore) che coloro che svolgono un lavoro creativo devono avere interessi trasversali di ogni genere, devono viaggiare, devono inserirsi nella società, parlare le lingue eccetera eccetera.

Come si fa se non si hanno i soldi? Qualcuno di questi massimi esperti dovrebbe scrivere un articolo per spiegarcelo.

Fatto sta, che anche io, nella mia personale esperienza non ho potuto all’epoca continuare gli studi. Nonostante i buoni voti e i complimenti di alcuni professori.

Un’esperienza che mi è rimasta nel cuore fu un’esame di Antropologia Culturale all’Accademia di Belle Arti.

La professoressa, Lidia Reghini di Pontremoli, a fine esame mi disse: “Roberta cosa fanno i tuoi genitori nella vita?” io risposi “mio padre l’impiegato e mamma fa la casalinga”.

Lei mi disse: “Allora è tutta farina del tuo sacco! brava Roberta non mollare, continua sempre così. Ti metto 30, la lode e ti mando anche il bacio”

Fu uno dei momenti più belli della mia vita.

Critiche e carattere personale

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illustrazioni originali di @mokocharacters

La faccenda critiche e carattere personale è molto importante relazionata all’insicurezza, all’autostima e anche alla sindrome dell’impostore.

Sempre all’Accademia di Belle Arti, avevo come professore di riferimento quello di Pittura, che era la materia principale del mio corso.

Spiegava, o meglio, raccontava qualcosa, poi si sedeva con il suo sigaro e ci faceva disegnare dal vivo. Ci dava i suoi quadri come esempi e spunti per cose da dipingere, ci faceva riprodurre grandi classici.

Dopo una verifica andata benino (purtroppo non bene), in cui presi 26 come voto complessivo, partecipai ad un concorso per giovani pittori. Avevo 18 anni.

Saltai una verifica per partecipare al concorso e quando andai dal professore a mostrargli il quadro a cui mi ero dedicata giorno e notte lui mi disse che “ero stata presuntuosa a partecipare al concorso e che non avrei dovuto saltare la verifica per questa cosa”.

Non volle valutare i miei lavori e anche se avevo la media del 28 precisa anche superiore, lui non volle mandarmi in Erasmus creando nella mia vita un’effetto “Sliding Doors”.

Qui c’è l’episodio di critica e di svalutazione ma soprattutto entra in gioco il carattere personale.

Personalmente avendo avuto le mie difficoltà nella vita, sono sempre stata portata a lavorare duramente perché appunto, quando non sei ricco, non hai un nome alle spalle e devi fare tutto da solo, devi darti da fare il triplo.

Purtroppo anche quando ti impegni molto possono succedere episodi che vanno aldilà delle critiche. A volte veniamo rifiutati, maltrattati, non ci viene riconosciuto l’impegno, la volontà.

In quei casi bisognerebbe essere tenaci, rialzarsi e perseguire comunque l’obiettivo. Bisognerebbe non dare importanza alle umiliazioni e alle provocazioni e andare avanti.

Questo strano carattere

Nel mio caso il carattere non ha aiutato in diverse occasioni. Sono cresciuta dalle suore ed erano molto severe. Mi hanno insegnato che prima di tutto si deve guardare la propria trave invece della pagliuzza degli altri.

Mi hanno insegnato che non ci si vanta nemmeno di fronte a oggettive capacità, che non si deve cercare di prevalere perché chi dice troppo “io, io” si ritrova a fare il verso dell’asino.

Insomma parola d’ordine nella vita: umiltà.

Ma quando l’umiltà diventa insicurezza, bassa autostima, o sindrome dell’impostore?

Quando sono entrata in agenzia, ormai tredici anni fa, sapevo di essere inesperta, di dover imparare molto e quindi ho cercato di pormi in modo umile e di farmi trovare entusiasta ad ogni sfida.

L’agenzia mi ha dato moltissimo in termini di crescita, di esperienze e di consapevolezza.

All’inizio ero molto considerata, ricevevo molti complimenti e molta fiducia. Ero ovviamente sempre un gradino sotto ai miei colleghi uomini con i quali lavoravo assiduamente.

Però ho avuto per un bel po’ la fiducia e la stima del mio datore di lavoro e del mio collega dirimpettaio. Ad un certo punto, sono iniziati ad arrivare i giudizi contrastanti, oggi sei brava, domani no, complimenti dopo le riunioni con i clienti e poi svalutazione delle competenze, a seconda di quando facessero comodo le une o le altre.

Iniziarono le competizioni, schieramenti, rivendicazioni di potere, bravura, elevazione anche morale e conseguente screditamento per quelli che, secondo loro, non erano alla loro altezza.

Quella cosa chiamata mobbing

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illustrazioni originali di @mokocharacters

Sono arrivata, verso la fine della mia esperienza in agenzia che io stessa avevo contribuito a formare, a sentirmi dire ogni mattina: “Come sei vestita oggi, mettetevi una gonna ogni tanto per il piacere dei vostri colleghi, non mi piace come parli, non mi piace come lavori, non, non,non”.

Tutte queste cose alternate a momenti di esaltazione dove sembravi essere quella di sempre, dove sembravi importante, indispensabile.

Minacce, ricatti morali, screditamento, ingiurie. Finché alla fine, quando anche l’ultimo arrivato doveva dirmi come fare il lavoro di undici anni, quando cominciano a volare giudizi e ripercussioni, non per motivi oggettivi ma per motivi a volte del tutto personali, capisci che sei arrivato alla frutta.

Alla frutta io ci sono arrivata dopo anni di questi atteggiamenti.

Non è facile lasciare un’agenzia che hai contribuito a fondare, dove hai vissuto tutti i tuoi vent’anni e parte dei trenta, dove hai lasciato una parte di te importante, progetti, clienti, colleghi ai quali tenevi molto.

Il mobbing è qualcosa di sottile. Qualcosa che si insinua dal basso, dal silenzio, da piccole o grandi incomprensioni. Ad un certo punto all’interno dell’ufficio, si individua una persona alla quale si attribuisce il fallimento di un progetto, di un insuccesso, o semplicemente un’insoddisfazione.

Ci sono stati diversi capri espiatori, io sono stata uno di questi per molto tempo. Questo per via proprio dell’umiltà e di quello che mi è stato trasmesso da piccola.

Sia chiaro non è che non ho mai risposto, non ho mai puntato i piedi o io non abbia provato a farmi rispettare. Ma ho sempre perso.

Se fai la voce grossa ad un certo punto passi dalla parte del torto.

Il consulente del lavoro mi disse “Perché rimani in un posto che non ti apprezza? perché rimani al fianco di persone che sfruttano le tue capacità per poi screditarti quando gli fa comodo? Perché rimani con persone che pretendono da te un cambiamento quando loro per primi non vogliono farlo?”

Mi disse inoltre che non si può essere diversi da quello che si è. Che per quanto io cercassi di cambiare per piacere a loro, non sarei mai andata bene, perché dobbiamo trovare persone che ci apprezzano per quello che siamo e siamo disposti a dare.

Questo mi ha spinto a trovare una cosa tutta mia. Ma non vi nego che sono stati e sono ancora oggi anni difficili.

Il covid, l’assenza di lavoro, di possibilità, sono duri per chi cerca di portare avanti un progetto di vita personale. Ancora più difficile togliersi dalla mente anni di mobbing, di critiche e di lotte per essere quel che si è.

Mi ritrovo oggi con potenziali clienti o collaboratori che non capiscono cosa faccio. Quali sono le mie reali capacità. Mi ritrovo con un portfolio che condivido interamente con l’agenzia perché è lì che ho lavorato per quasi tutta la vita.

Cerco di essere tenace.

Perché a volte devi solo andare avanti, devi solo stringere i denti ed essere forte.

Fortunatamente ci sono molte persone che credono in me e ho trovato dei clienti che mi hanno fatto sentire importante, che mi hanno dato fiducia e restituito stima.

Questo è un aspetto molto significativo. Fare tesoro delle cose belle che ci accadono.

In conclusione

Fare tesoro delle cose belle che ci accadono è complesso. Soprattutto se siamo stati vessati a lungo e se abbiamo sperimentato o stiamo sperimentando sulla nostra pelle un periodo più o meno lungo di incertezza, bassa stima personale e/o sindrome dell’impostore.

Bisogna farsi aiutare e non aver paura di chiedere aiuto a qualcuno.

Bisogna anche forzarsi nel cercare l’obbiettività. Cercare di guardare anche le cose belle che ci appartengono senza focalizzarsi solo sulle cose negative, sugli errori i difetti e i limiti.

Mi sono colpevolizzata per anni per ciò che è capitato in ufficio, per essermene andata rivendicando i miei diritti.

Ho vissuto per molto tempo un senso di lutto e fallimento verso la mia professione.

Non riuscivo a smettere di pensare di essere un fallimento e non riuscivo a pensare che qualcuno mi avrebbe voluta e apprezzata.

Ancora mi vengono a volte questi pensieri, in momenti difficili.

Ma poi penso a tutto quello che ho realizzato, ai clienti che ho seguito, alla passione che ho verso questo mio, per alcuni incomprensibile, lavoro.

Convivere con la Sindrome dell’impostore

Nuovo e Utile vi offre qualche consiglio sensato e opportuno per convivere con la sindrome dell’impostore, se per caso ne soffrite. Ad esempio, dovreste notare che momenti di fiducia ed entusiasmo possono naturalmente alternarsi a momenti di dubbio: sono condizioni temporanee, e la cosa migliore da fare è godersi i momenti di fiducia (finché continuano) e ricordare che quelli di sfiducia sono passeggeri.

6 consigli: infografica

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